IL GIUDICE ISTRUTTORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  che  promuove giudizio di
 legittimita' costituzionale nel procedimento civile n. 4987/1993  del
 ruolo generale promosso da Pamer Barbara contro Gotsch Sala Maria.
   Con  atto  di  citazione  notificato  in data 3 dicembre 1993 Pamer
 Barbara, rappresentata e difesa dall'avvocato Martin Zuegg di Merano,
 citava in giudizio davanti al tribunale civile di Bolzano Gotsch Sala
 Maria  per  veder  accertare  un  suo  credito   nei   confronti   di
 quest'ultima e veder condannare la stessa al pagamento della relativa
 somma.  All'atto  di  citazione  di  parte attrice, redatto in lingua
 tedesca,  la  convenuta rispondeva per mezzo del suo procuratore avv.
 Gerhard Brandstatter con comparsa di  risposta  dd.  23  marzo  1994,
 parimenti  redatta  in  lingua tedesca. In applicazione dell'art. 20,
 secondo comma, del d.P.R. 15 luglio  1988,  n.  574,  essendo  l'atto
 introduttivo  e  la comparsa di risposta redatti nella stessa lingua,
 il processo proseguiva nella sola lingua tedesca, con la  conseguente
 necessita'  di  redigere tutti gli atti processuali in tedesco a pena
 di nullita' (Cass.?).
   Nel corso della fase istruttoria, precisamente all'udienza  del  23
 maggio  1996,  il  procuratore di parte attrice, l'avv. Martin Zuegg,
 rimetteva il mandato costringendo la sig.ra Pamer a cercarsi un nuovo
 difensore. Successivamente all'udienza del 4 luglio 1996 si costituva
 in giudizio l'avv. Arturo Knering, di Bolzano,  in  rappresentanza  e
 difesa  dell'attrice  Pamer Barbara, dimettendo e scambiando comparsa
 di risposta dd.  2  luglio  1996,  redatta  in  lingua  italiana,  ed
 allegando  alla  stessa  procura  notarile  dd. 28 maggio 1996 da cui
 risultava il mandato difensivo ricevuto da parte attrice.
   Il nuovo procuratore dell'attrice, evidentemente piu'  a  suo  agio
 nell'uso  della  lingua  italiana,  procedeva  a  verbalizzare le sue
 richieste istruttorie in italiano. Il  procuratore  della  convenuta,
 l'avv.  Gerhard  Brandstatter,  si  opponeva  alla verbalizzazione in
 italiano e rilevava che il processo,  instaurato  monolingue,  doveva
 procedere in lingua tedesca.
   In  effetti  l'art. 20, primo comma, del d.P.R. n. 574/1988 dispone
 che "Nel processo civile ciascuna parte ha facolta' di  scegliere  la
 lingua  per  la  redazione dei rispettivi atti processuali. La lingua
 cosi' prescelta rimane immutata per l'intero grado del giudizio".
   A questo punto il procuratore dell'attrice sollevava  questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  20,  primo  comma, del d.P.R. 15 luglio
 1988, n. 574, per violazione degli artt. 3 e  24  della  Costituzione
 nella  parte  in  cui  impone,  per  l'intero  grado del giudizio, la
 stabilita' della lingua da utilizzare nel processo senza possibilita'
 alcuna di modifica. Secondo  la  tesi  del  procuratore  attoreo,  il
 principio  stabilito  dall'art.  20  comporterebbe  una inammissibile
 lesione del diritto di difesa, limitando la parte  processuale  nelle
 scelte della propria difesa anche tecnica.
   L'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale  proposta  da parte
 attrice, benche'  a  nostro  modo  di  vedere  si  fondi  su  diversa
 motivazione,  appare  rilevante  per  il  processo  in  corso  e  non
 manifestamente infondata.
   Rilevante perche', ove l'art. 20,  primo  comma,  del    d.P.R.  n.
 574/1988  venisse dichiarato costituzionalmente illegittimo nel senso
 sopra indicato, l'attrice Pamer Barbara potrebbe optare, in  funzione
 delle  esigenze  della  difesa  tecnica  e  senza  che  cio' comporti
 l'invalidita' degli atti da essa posti  in  essere,  per  una  lingua
 diversa  da  quella  inizialmente  prescelta, essendosi trovata nella
 necessita' di nominare, nel corso del primo  grado  di  giudizio,  un
 nuovo difensore ed essendo questi di madrelingua diversa dal primo.
   Non   manifestamente   infondata,   perche'   e'  ipotizzabile  una
 situazione di contrasto tra la norma citata e gli artt. 6 e 24  della
 Costituzione  e 1'art. 100 dello statuto di autonomia della provincia
 di Bolzano, come noto norma di rango costituzionale.
   Sembra    invece    manifestamente    infondata    la    progettata
 incompatibilita' dell'art. 20, primo comma, del  d.P.R.  n.  574,  in
 contrapposizione all'art. 17 dello stesso atto avente forza di legge,
 e  l'art.  3  della Costituzione, per la diversita' di trattamento di
 cui sarebbero oggetto l'imputato nel processo penale e la  parte  nel
 processo   civile.   Invero,  a  parte  la  diversa  natura  dei  due
 procedimenti, la possibilita' per l'imputato di  modificare  dopo  il
 primo interrogatorio la lingua inizialmente prescelta (art. 17 d.P.R.
 n.  574), piu' che costituire una discriminazione nei confronti della
 parte civile a cui tale modifica rimane interdetta, si giustifica  in
 base   alla   considerazione   che   proprio   a  seguito  del  primo
 interrogatorio l'imputato, o meglio l'indagato, viene compiutamente a
 conoscenza dei fatti e circostanze ascritte  a  suo  carico,  con  la
 conseguenza  che solo in tale momento puo' sorgere in lui l'eventuale
 interesse ad una difesa in  lingua  diversa  da  quella  inizialmente
 prefigurata.
   Fatta  questa  premessa,  va  preliminarmente  evidenziato  che  la
 normativa di cui al d.P.R. n. 574/1988, entrata in vigore l'8  maggio
 1993,  ha  dato  attuazione  a  quanto  previsto  dall'art. 100 dello
 statuto di autonomia della provincia  di  Bolzano  che  riconosce  il
 diritto  dei  cittadini di lingua tedesca di usare la loro lingua nei
 rapporti con gli organi giurisdizionali. Tale disciplina  costituisce
 espressione  del  principio  fondamentale  di  tutela delle minoranze
 linguistiche riconosciute, garantito dall'art. 6 della Costituzione.
   Cio' nondimeno, la Corte costituzionale ha avuto modo  di  rilevare
 come  la  facolta' di scelta della lingua del processo, che tutela la
 singola parte quale appartenente  alla  minoranza  linguistica,  vada
 raccordata alla tutela connessa alla garanzia, prevista dall'art.  24
 della  Costituzione,  del  diritto di difesa inteso anche come difesa
 tecnica. Appare infatti necessario assicurare alla parte la  liberta'
 di  scegliere  il  proprio  avvocato  anche  in un gruppo linguistico
 diverso da quello di appartenenza, "potendo la  scelta  della  lingua
 del  processo  essere  fatta  in funzione delle esigenze della difesa
 tecnica", intesa quest'ultima quale libera e consapevole  scelta  del
 proprio  difensore  (v.  sentenza  della  Corte  costituzionale 12-19
 gennaio 1995, n. 16).
   In tale prospettiva la Corte osservava che, benche'  l'effettivita'
 della  difesa  tecnica possa conseguire la sua realizzazione migliore
 ove la lingua del processo venga a coincidere sia con la lingua della
 parte che con quella del difensore, tale  principio,  nella  speciale
 disciplina  posta dal d.P.R. n. 574 a tutela della minoranza tedesca,
 puo' essere derogato, ma solo in relazione all'esigenza di  garantire
 piu'  intensamente il diritto di difesa, "consentendo all'interessato
 una piu' ampia liberta' di scelta del proprio difensore" (v. sentenza
 citata).
   Ebbene, una disposizione normativa, quale l'art. 20  del  d.P.R  n.
 574,  che  impedisca  alla  parte di mutare la lingua processuale per
 l'intero grado  del  giudizio  comprime  in  modo  ingiustificato  il
 diritto   di  difesa  anche  tecnica  garantito  dall'art.  24  della
 Costituzione, essendo innegabile che tale diritto non  comporti  solo
 la  facolta'  di  scegliere  liberamente  ed  in  modo consapevole il
 proprio difensore nella fase iniziale di ogni grado del processo,  ma
 garantisce  altresi' la possibilita' di modificare successivamente in
 corso di causa, in  ogni  fase  e  grado  del  giudizio,  le  proprie
 strategie  difensive  nominando  all'occorrenza  un  nuovo difensore,
 eventualmente anche di un gruppo linguistico diverso.
   Il diritto alla difesa cosi' articolato non puo' non trovare tutela
 in tutti quei casi in cui e' la stessa legge ad imporre alla parte la
 nomina  di  un  nuovo  difensore,  in  caso di morte o rimessione del
 mandato da parte di quest'ultimo, non potendo questa stare da sola in
 giudizio.
   In siffatte ipotesi, in cui la parte decida, o si trovi costretta a
 nominare un nuovo difensore nel  corso  di  un  qualsiasi  grado  del
 giudizio,  non  si  puo'  negare  che  l'immutabilita'  della  lingua
 processuale  si  ripercuota  in  una  limitazione  di   fatto   delle
 possibilita'   di  scelta  del  nuovo  difensore,  essendo  la  parte
 costretta a scegliere lo stesso nell'ambito del gruppo linguistico di
 appartenenza del difensore da sostituire e vedendosi cosi' negata, in
 questa fase del giudizio, quella piu' ampia liberta' nella scelta del
 proprio difensore ad essa garantita dall'art. 24 della  Costituzione.
 Nel  caso de quo, la sig.ra Pamer Barbara dovrebbe rinunziare, almeno
 per l'intero primo grado del giudizio, a scegliere un nuovo difensore
 tra coloro che appartengono al gruppo linguistico  italiano,  essendo
 improbabile  che  uno  di essi sia in grado di sostenere la difesa in
 lingua tedesca.
   Appare difficilmente sostenibile che l'art. 24  della  Costituzione
 abbia  inteso  garantire la piu' ampia facolta' di scelta del proprio
 difensore  solo  nella  fase  iniziale  di  ogni  singolo  grado  del
 giudizio,  anziche', come sembra piu' probabile, in ogni fase e grado
 del procedimento.
   Ma c'e' di piu': la disciplina dettata dall'art. 20,  infatti,  non
 solo  comprime  in  modo  ingiustificato  il  diritto di difesa anche
 tecnica garantito dall'art. 24  della  Costituzione,  ma  rischia  di
 integrare  allo  stesso  tempo  una  lesione  dei  diritti  garantiti
 dell'art. 6 della Costituzione, in particolare dei diritti  garantiti
 in  sua  applicazione  dall'art. 100 dello Statuto di autonomia della
 provincia  di  Bolzano.    Tale  articolo,  come   sopra   accennato,
 garantisce  al singolo, quale appartenente alla minoranza linguistica
 tedesca, il diritto di utilizzare la propria lingua nei rapporti  con
 l'autorita' giudiziaria. Qualora la parte rinunzi a tale diritto solo
 in  funzione  delle  esigenze  di  difesa  tecnica,  avendo deciso di
 avvalersi  di  un  difensore  appartenente   ad   un   altro   gruppo
 linguistico,  appare  non solo irragionevole, ma addirittura punitivo
 nei confronti di questa stessa parte impedirle di  mutare  la  lingua
 processuale inizialmente prescelta, qualora nel corso del primo grado
 di  giudizio voglia, ovvero debba sostituire il proprio difensore con
 un avvocato o procuratore appartenente al proprio gruppo linguistico.
   Venute meno quelle ragioni di fiducia, dettate  dalle  esigenze  di
 difesa  tecnica,  che  abbiano  indotto  una  parte  a  rinunciare ad
 ottenere che il processo si  svolga  nella  propria  madrelingua  per
 nominare  un difensore appartenente all'altro gruppo linguistico, non
 si vede perche' la stessa parte non  possa  nel  corso  dello  stesso
 grado  del giudizio modificare la propria lingua processuale, qualora
 subentri la necessita' di nominare un  nuovo  difensore  e  la  parte
 decida di farsi rappresentare da un difensore appartenente al proprio
 gruppo linguistico. Tanto piu' che, come rilevato piu' sopra, proprio
 nel  caso in cui la lingua del processo venga a coincidere sia con la
 lingua della parte che con quella del difensore l'effettivita'  della
 difesa tecnica puo' conseguire la sua realizzazione migliore.
   Il  fatto  che  l'art.  20, disponendo l'immutabilita' della lingua
 processuale  per  l'intero  grado  del  giudizio,  lasci  aperta   la
 possibilita'  di modificare la lingua all'inizio del successivo grado
 non vale a compensare il forte  pregiudizio  che  la  parte  potrebbe
 subire  nel  non  poter, gia' nel corso del primo grado del giudizio,
 modificare la propria difesa tecnica con la nomina  di  un  difensore
 appartenente  ad  un gruppo linguistico diverso rispetto a quello cui
 apparteneva il difensore  inizialmente  prescelto.  Tale  pregiudizio
 appare  ancora maggiore se pensiamo alla provvisoria esecutorieta' di
 cui godono le sentenze di primo grado ai sensi dell'art. 282  c.p.c.,
 nella sua nuova formulazione.
   La  limitazione  della facolta' di modificare la lingua processuale
 nel corso del primo grado di giudizio, costituendo  una  compressione
 di  diritti individuali costituzionalmente garantiti ai singoli dalla
 Costituzione, potrebbe trovare una  giustificazione  solamente  nelle
 esigenze  di  tutela di altri diritti od interessi costituzionalmente
 rilevanti.
   Nel caso in  esame  potrebbero  essere  invocati  quegli  interessi
 collettivi  alla  economicita'  e speditezza dei procedimenti civili,
 interessi che potrebbero essere messi in gioco  dalla  necessita'  di
 apprestare,   gia'  nel  corso  del  primo  grado  del  giudizio,  la
 traduzione degli atti a spese d'ufficio perche' una delle parti abbia
 deciso di modificare la lingua processuale.
   A  tale  proposito  va  rilevato  come  sia  principio  logicamente
 intrinseco   ad  ogni  ordinamento  giuridico  democratico  che  ogni
 qualvolta un diritto individuale costituzionalmente  garantito  debba
 essere  compresso  per  tutelare  interessi  collettivi,  di  cui  la
 societa' od un gruppo sia portatore, cio' debba avvenire nella misura
 in cui  tali  interessi  possano  essere  soddisfatti  con  il  minor
 pregiudizio   possibile   dell'interesse  individuale  da  comprimere
 (principio di proporzionalita').
   Alla  luce  di  suddetto  principio  appare  innegabile  come   gli
 interessi   collettivi,   sopra   richiamati,   alla   speditezza  ed
 economicita'    dei    procedimenti    civili    potrebbero    essere
 tranquillamente  soddisfatti  consentendo alle parti di modificare in
 ogni fase del giudizio la lingua processuale da  esse  prescelta,  ma
 prevedendo,   in   caso   di   modifica,   che   cio'  non  determini
 l'interruzione dei termini processuali,  ne'  possa  causare  ritardi
 nello  svolgimento  del  processo  ovvero  comportare  la  traduzione
 d'ufficio degli atti  precedenti.  Del  resto,  questa  soluzione  e'
 conforme  a  quella  gia'  adottata  dal  legislatore  con l'art. 17,
 settimo comma, del d.P.R. n.  574  per  il  caso  in  cui  l'imputato
 modifichi,   dopo  il  primo  interrogatorio,  la  lingua  scelta  in
 precedenza.
   In questo modo ogni parte rimarrebbe libera di nominare,  gia'  nel
 corso del primo grado di giudizio, un nuovo difensore appartenente ad
 un  gruppo linguistico diverso da quello cui apparteneva il difensore
 precedentemente prescelto, ma, qualora cio' avvenisse, essa  dovrebbe
 provvedere  a  proprie  spese  alla  eventuale  traduzione degli atti
 precedenti  senza  che  cio'  possa  comportare  un'interruzione  del
 processo.
   Alla   luce   di  queste  considerazioni,  ingiustificato,  perche'
 sproporzionato rispetto allo scopo da perseguire,  appare  dunque  il
 divieto,  sancito  dall'art.  20  del  d.P.R. n 574, di modificare in
 qualsiasi fase del primo e  secondo  grado  del  giudizio  la  lingua
 processuale inizialmente prescelta dalla parte.